Delitto tentato.

DELITTO TENTATO E DESISTENZA VOLONTARIA.

L’articolo 56, comma III, c.p. disciplina la desistenza volontaria, ravvisabile in tutti i casi in cui, il reo, interrompe l’azione delittuosa intrapresa.

La desistenza produce un duplice effetto: il tentativo del reato programmato non è punibile; sono punibili gli atti commessi durante il tentativo sempre che i medesimi costituiscano autonomo reato.

La desistenza deve essere volontaria, il che non significa che deve essere spontanea. Non deve essere riconducibile a cause esterne che rendano impossibile, o gravemente rischiosa, la prosecuzione dell’azione. La prosecuzione, insomma, non deve essere impedita da condizionamenti esterni che renderebbero estremamente improbabile il successo dell’azione medesima.

Qualora il Giudice ravvisi la sussistenza di un forte condizionamento esterno che ha inciso sulla determinazione dell’agente, per pervenire ad un verdetto di condanna, dovrà vagliare l’idoneità e l’univocità degli atti compiuti al fine di ritenere configurata la fattispecie tentata.

Ma quali sono gli atti penalmente rilevanti per integrare il delitto tentato? Sul punto, si è acceso un aspro contrasto giurisprudenziale. Alcuni Giudici di Piazza Cavour ritengono che gli atti penalmente rilevanti siano – esclusivamente – gli atti esecutivi. Altri Giudici ritengono penalmente rilevati anche i c.d. atti preparatori.

È di tutta evidenza che urge un intervento nomofilattico delle SSUU al fine di dirimere la questione di diritto, che possa offrire una soluzione costituzionalmente orientata su un tema importante per le evidenti ripercussioni sull’accertamento di responsabilità.

D’altronde, la distinzione e netta classificazione tra atti meramente preparatori ed atti esecutivi, era già propria del codice Zanardelli. Ad oggi, tuttavia, la distinzione permane sul piano squisitamente sostanziale.

Si impone una breve ed ultima riflessione: l’art. 115 cp disciplina, e al contempo esclude, la punibilità dell’accordo a commettere un delitto. È evidente che si tratti, in quest’ultimo caso, di atti meramente preparatori idonei a determinare l’applicazione di sole misure di sicurezza.

Per contro, parte della giurisprudenza formatasi in ordine alla fattispecie delittuosa tentata, considera atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto anche gli atti preparatori. Non vi è chi non veda come, nell’un caso, gli atti preparatori rileverebbero per l’applicazione della pena della reclusione; nell’altro, rileverebbero soltanto per l’applicazione di misure di sicurezza.

Una contraddizione che, in definitiva, suggerisce l’auspicato intervento delle SS.UU.

Avv. Vincenzo SORGIOVANNI del Foro di Locri, specializzato in diritto penale