La revisione del processo penale

La revisione del processo penale è un mezzo di impugnazione straordinario che può essere esperito in qualsiasi momento contro tutte le sentenze di condanna passate in giudicato.

L’importanza di un mezzo di impugnazione straordinario contro una sentenza passata in giudicato, si apprezza particolarmente in paesi come l’Italia dove si stimano circa mille errori giudiziari all’anno.

La disciplina e i casi in cui può essere chiesta la revisione

Collocato nel titolo IX relativo alle impugnazioni, l’art. 630 cpp elenca i casi in cui può essere invocata la revisione della sentenza penale di condanna:

– se i fatti posti a fondamento di una sentenza di condanna o del decreto penale di condanna sono incompatibili con quelli di un’altra sentenza penale o decreto penale di condanna irrevocabile;

– se è intervenuta la revoca di una sentenza civile o amministrativa di carattere pregiudiziale che è stata posta a fondamento della sentenza di condanna o del decreto penale di condanna;

– se sopravvengono nuove prove che da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto;

– se viene dimostrato che la condanna è stata pronunciata a seguito di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto che la legge prevede come reato.

L’art. 631 cpp prevede, a pena di inammissibilità della domanda, che gli elementi fondanti l’invocata revisione siano tali da dimostrare, se provati, che il condannato è meritevole di sentenza di assoluzione (art. 530 c.p.p), di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.) o di non doversi procedere per estinzione del reato (art. 531 c.p.p.).

L’art. 632 cpp individua i soggetti legittimati a proporre il giudizio di revisione:

– il condannato o un prossimo congiunto o il tutore; l’erede o un prossimo congiunto nel caso in cui il condannato è deceduto;

– il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza di condanna.

L’art. 633 cpp prevede, invece, che la domanda può essere presentata personalmente dall’interessato ovvero dal suo procuratore speciale e deve contenere una dettagliata esposizione delle ragioni che la giustificano e gli eventuali documenti che la corredano.

In argomento, la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che l’allegazione non deve necessariamente comprendere vere e proprie prove, essendo sufficienti elementi di prova perchè la nuova prova dovrà essere presentata in fase dibattimentale.

L’impostazione giurisprudenziale si coordina con l’attuale codice di rito che prevede la facoltà di nominare un difensore di fiducia che, avvalendosi eventualmente anche della collaborazione di investigatori e/o consulenti tecnici, potrà svolgere indagini finalizzate a raccogliere elementi di prova a corredo della domanda di revisione che si intende postulare.

La domanda e i documenti a sostegno devono essere depositati nella cancelleria della Corte di Appello competente a decidere, individuata ai sensi dell’art. 11 cpp secondo la medesima tabella che disciplina la competenza per i procedimenti che coinvolgono magistrati:

Roma > Perugia                         Perugia > Firenze

Firenze > Genova                      Genova > Torino

Torino > Milano                         Milano > Brescia

Brescia > Venezia                       Venezia > Trento

Trento > Trieste                         Trieste > Bologna

Bologna > Ancona                     Ancona > L’Aquila

L’Aquila > Campobasso             Campobasso > Bari

Bari > Lecce                                 Lecce > Potenza

Potenza > Catanzaro                  Cagliari > Roma

Palermo > Caltanissetta            Caltanissetta > Catania

Catania > Messina                       Messina > Reggio Calabria

Reggio Calabria > Catanzaro      Catanzaro > Salerno

Salerno > Napoli                           Napoli > Roma

Tale previsione è legata al timore di una eccessiva vicinanza tra il giudice che ha emesso la sentenza e quello che deve valutare la richiesta di revisione. Si è così inteso garantire più efficacemente l’imparzialità del giudizio affidando la revisione ad un giudice di un diverso distretto.

Una volta presentata, l’istanza di revisione viene sottoposta ad un primo vaglio di ammissibilità da parte della Corte di Appello, alla quale l’art. 634 cpp attribuisce il potere di verificare preliminarmente se la richiesta è stata proposta fuori delle ipotesi consentite o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata.

In questi casi, la Corte di Appello anche d’ufficio ne dichiara con ordinanza l’inammissibilità con eventuale condanna dell’istante al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da determinarsi tra un minimo di duecentocinquantotto euro ad un massimo di duemilasessantacinque euro.

L’ordinanza di inammissibilità della Corte di Appello può essere ricorsa in Cassazione che, in caso di annullamento, rinvia il giudizio ad altra Corte di Appello individuata ai sensi dell’art. 11 cpp.

Se la Corte di Appello stima ammissibile l’istanza, il Presidente emette apposito decreto di citazione a giudizio per lo svolgimento del processo di revisione che, in forza di quanto previsto dall’art. 636 cpp, segue le disposizioni che regolano gli atti preliminari al dibattimento e il dibattimento (Libro VII, Titolo I e II) per quanto compatibili.

Superato il vaglio preliminare di ammissibilità dell’istanza di revisione, la Corte di Appello potrebbe emettere apposita ordinanza di sospensione della pena o della misura di sicurezza in attesa dell’esito del processo di revisione.

Il processo di revisione, superato il vaglio di ammissibilità, si concluderà o con sentenza di accoglimento, con pronunciamento della formula assolutoria ritenuta di giustizia e consequenziale revoca della sentenza di condanna; oppure con sentenza di rigetto e contestuale condanna dell’istante al pagamento delle spese processuali (art. 637 c.p.p.).

In ogni caso, la dichiarazione di inammissibilità della richiesta o la sentenza di rigetto non precludono all’istante il diritto di presentare una nuova richiesta basata su elementi differenti (art. 641 c.p.p.).

La sentenza di accoglimento dell’istanza di revisione facoltizza il soggetto interessato a chiedere che la sentenza sia affissa, per estratto, nel Comune in cui era stata pronunciata la sentenza di condanna e in quello dell’ultima residenza del condannato, ed anche che l’estratto della sentenza sia pubblicato su un giornale da lui stesso indicato (art.642 c.p.p.).

Le spese per le pubblicazioni vanno a carico della cassa delle ammende.

La riparazione.
L’art. 643 c.p.p. prevede inoltre, per colui che è stato prosciolto a seguito della domanda di revisione, il diritto ad una riparazione commisurata alla durata della pena espiata nonché alle conseguenze personali e familiari che ne sono derivate, salvo che l’interessato non abbia determinato l’errore giudiziario per dolo o colpa grave.

Il diritto alla riparazione si trasmette al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai fratelli, alle sorelle e agli affini nell’ipotesi di morte dell’interessato (art. 644 c.p.p.).

La giurisprudenza di riferimento

  • La richiesta di revisione è ammissibile anche quando la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di giudizio abbreviato, senza che sussista alcuna preclusione in capo al condannato di allegare come “prove nuove”, idonee ai sensi dell’art. 631, lett. c), cod. proc. pen., mezzi di prova che avrebbe già potuto indicare come integrazione probatoria nella richiesta di giudizio abbreviato (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10593 del 8 marzo 2018).
  • Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire “prove nuove” ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10523 del 8 marzo 2018).
  • La prova nuova, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura di prevenzione della confisca, ai sensi dell’art. 28, comma primo, lett. a) D.Lgs. 159 del 2011, è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell’ambito del suddetto procedimento (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 28628 del 8 giugno 2017).
  • In tema di revisione, nel caso previsto dall’art. 630 comma 1, lett. c), c.p.p., per prove nuove possono intendersi anche quelle che, pur se entrate a far parte del materiale acquisito nel precedente giudizio di cognizione, non siano comunque state oggetto di valutazione, poiché anche in tal caso l’eventuale eliminazione della sentenza di condanna divenuta irrevocabile trae origine non da un riesame critico delle identiche risultanze probatorie, interno al giudicato, ma da una ricostruzione che muove da ciò che anteriormente il giudice non aveva valutato. Inoltre, le prove dedotte in sede di richiesta di revisione non cessano di essere «nuove» per essere stata già esaminate, e disattese, in occasione di precedenti pronunce di inammissibilità: si porrebbe infatti un problema di bis in idem solo se la successiva richiesta si fondi sulle stesse prove già esaminate in tali precedenti pronunce, e non quando ulteriore materiale probatorio sia allegato, insieme al precedente, a sostegno di una nuova domanda di revisione (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1155 del 5 agosto 1999).
  • In tema di revisione, la sentenza di assoluzione dei coimputati, pronunciata in un separato procedimento, non può essere considerata di per sé “nuova prova”, come tale rilevante a norma dell’art. 630 lett. c) c.p.p. (Nella specie, la Corte non ha riconosciuto la natura di “nuova prova” alla sentenza di assoluzione dei coimputati in quanto fondata sulle stesse fonti di accusa utilizzate per la condanna del ricorrente ed ha escluso che possa essere rivalutata nel giudizio di revisione una prova già presa in considerazione dai giudici della cognizione principale) (Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 8135 del 28 febbraio 2002).
  • La c.d. revisione europea introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011, presuppone la necessità di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Edu, vincolante ai sensi dell’art. 46 della Convenzione: necessità che ricorre quando la sentenza sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure quando abbia natura di sentenza pilota, riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all’interno del medesimo ordinamento giuridico, ovvero, ancora, quando abbia accertato una violazione di carattere generale, desumibile dal “dictum” della Corte Edu e ricorra una situazione corrispondente che implichi la riapertura del dibattimento  (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 21635 del 4 maggio 2017).

(Intervento dell’Avv. Giuseppe GERVASI del 14/01/2021 su “Scienze Forensi Magazine” – Diritti riservati).