La revisione europea del processo penale

Dopo l’istituto della revisione in generale del processo penale, dei tempi, delle modalità e dei presupposti per richiederla per come disciplinati dagli artt. 630 ss cpp, trattiamo ora la versione “europea” dell’impugnazione straordinaria.

Le sentenze della Corte Costituzionale.

In argomento, rilevano due importanti pronunciamenti della Corte Costituzionale.

Con la sentenza n. 113 del 2011, la Corte delle leggi ha dichiarato illegittimo l’art. 630 cpp nella parte in cui non prevede una ulteriore ipotesi di revisione penale, quando ciò risulta necessario per conformarsi ad una decisione definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Più precisamente, quando la Corte europea ha condannato con sentenza definitiva lo Stato italiano per violazione di una norma convenzionale in tema di giusto processo penale.

La sentenza additiva della Corte Costituzionale ha in tal modo introdotto una ulteriore ipotesi di ricorso al mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze penali passate in giudicato, coniando la nuova figura di revisione più comunemente conosciuta come europea.

Con la sentenza n. 210/2013 la Corte delle leggi ritorna in argomento revisione europea del giudicato penale.

Chiamate a pronunciarsi sulla legittimità del rigetto, del Tribunale di Spoleto, della richiesta di sostituzione della pena dell’ergastolo con la pena massima di 30 anni del condannato che invocava l’applicazione estensiva degli effetti della sentenza CEDU 17/09/2009 sul caso Scoppola, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che non condivideva quel rigetto, ha invocato l’intervento della Consulta sulla legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 del decreto-legge n. 341 del 2000, ritenendo che queste norme fossero di ostacolo al doveroso accoglimento della richiesta di sostituzione della pena.

L’ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione muoveva dal presupposto che la sentenza Scoppola, ritenuta “pilota”, dovesse trovare applicazione anche nei casi, come quello portato alla sua attenzione, che presentassero le medesime caratteristiche, indipendentemente da una pronuncia sul caso concreto da parte della Corte EDU.

Per la Corte Costituzionale, di fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza stigmatizzate in sede europea, il mancato esperimento del rimedio di cui all’art. 34 CEDU (ricorso individuale) e la conseguente mancanza, sul caso concreto, di una sentenza della Corte EDU, non possono essere di ostacolo ad un intervento dell’ordinamento giuridico italiano, attraverso la giurisdizione e segnatamente con l’incidente di esecuzione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale.

Trattasi di una ulteriore importante apertura alla revisione europea e all’incidente di esecuzione, anche se la sentenza Scoppola non possiede, per la Consulta, diversamente dalle SS.UU., i requisiti della sentenza pilota.

Non tardarono i commenti tesi ad evidenziare la necessità di definire gli esatti confini dell’obbligo di conformazione dell’Italia al dictum della CEDU e l’estensibilità del pronunciato europeo ai casi analoghi non sottoposti alla Corte di Strasburgo.

Il tema può essere posto in questi termini: se esiste un diritto generalizzato del condannato in via definitiva di chiedere la revisione della sua condanna a seguito di un pronunciamento favorevole della Corte EDU rispetto ad un caso analogo, oppure se è prodromico, alla revisione, il preventivo ricorso individuale del condannato.

In altri termini, se il ricorso alla Corte EDU, dopo l’esaurimento di tutti i gradi di giudizio previsti dall’ordinamento italiano, è condizione indispensabile di ammissibilità della successiva istanza di revisione in Italia.
Il tema dell’estensibilità del rimedio ai casi analoghi involge anche le c.d. sentenze pilota, quelle decisioni extranazionali nelle quali espressamente viene ordinato allo Stato di porre rimedio ai profili di criticità strutturale, da cui discendono ripetute violazioni delle norme convenzionali.

E’ risaputo come le sentenze pilota assumano espressamente valore anche oltre il singolo caso valutato, fino a determinare il congelamento delle cause simili, in attesa che lo Stato dia esecuzione all’ordine di rimozione dei problemi strutturali segnalati dalla Corte Edu.

In argomento, nel 2012 si registra un primo intervento nomofilattico della Corte di Cassazione nella sua massima composizione (Sez. Un. 34472 del 19/04/2012, ric. Ercolano), che ha chiarito, all’indomani dell’intervento della Corte Costituzionale, che le decisioni della Corte EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto, non correlata in via esclusiva al caso esaminato, della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronunzia della predetta CEDU.

Nel 2014 si registra un ulteriore importante intervento nomofilattico della VI sezione penale, n. 46067 del 23/09/2014, ric. Scandurra, con il quale è stato chiarito che «La nuova ipotesi di revisione introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011 presuppone che la decisione della Corte Edu, cui sia necessario conformarsi, sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure abbia natura di “sentenza pilota” riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all’interno del medesimo ordinamento giuridico» in tal modo riconoscendo l’estensibilità del rimedio della revisione europea in presenza di determinate condizioni.

Nel 2016 e nel 2017 si segnalano due importanti pronunciamenti della prima sezione penale della Cassazione, rispettivamente con la sentenza n. 44193/2016 Dell’Utri e n. 43112/2017 Contrada.

Mentre con la prima sentenza, relativa alla vicenda giudiziale di Marcello Dell’Utri, la Cassazione sembra aver aperto la strada a un possibile utilizzo dello strumento della revisione “europea” anche da parte dei c.d. “fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo, con la seconda statuizione la Suprema Corte torna sui suoi passi e nega radicalmente che il rimedio delineato dalla Corte costituzionale possa essere applicato al di fuori del singolo caso oggetto di giudizio davanti i giudici europei, individuando nell’incidente di esecuzione, regolato dagli artt. 666 e 670 c.p.p., lo strumento appropriato per l’attuazione di una decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo quando questa non impone la riedizione del processo per violazione dell’art. 6 della Convenzione, realizzabile con lo strumento della “revisione Europea” (Corte Cost. n. 113 del 2011), ma la mera rimozione degli effetti pregiudizievoli della condanna, alla quale il giudice dell’esecuzione è senz’altro abilitato fino a quando non si sia esaurito il rapporto esecutivo.

Sulla scia del pronunciamento del 2017 sul caso Contrada, nel 2019 interviene la V^ sezione penale di Piazza Cavour (sent. 7918 del 22.02.2019) per limitare i casi di ricorso alla revisione europea, anche a fronte di una sentenza c.d. pilota, in assenza di ricorso individuale dell’interessato.

Le Sezioni Unite del 2020.
I principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata (Cass. SS.UU. n. 8544/2019 depositata nel 2020).

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere il ricorso di un soggetto che, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi fino al febbraio del 1994, aveva avanzato istanza di revisione “europea” della propria condanna ai sensi dell’art. 630 c.p.p., come modificato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 113 del 2011, invocando gli effetti estensivi favorevoli della sentenza della Corte Edu sul caso Contrada, che aveva dichiarato illegittima per contrasto con l’art. 7 Cedu la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa riferita a periodi precedenti al 1994.

Per il ricorrente, i principi espressi con la sentenza europea sul caso Bruno Contrada andavano garantiti a tutti colori i quali si trovassero nella stessa situazione dell’ex funzionario di polizia.

Investita del ricorso, la sesta sezione della Cassazione – appositamente sollecitata dal ricorrente – riteneva necessario rimettere la decisione alle Sezioni Unite, perchè le contrastanti pronunce giudiziali, rendevano incerto stabilire se l’obbligo di conformazione di cui all’art. 46 Cedu operasse anche con riferimento a situazioni coperte dal giudicato diverse da quella concretamente valutata dalla Corte europea e, nel caso, a quali condizioni e attraverso quali rimedi processuali ciò potesse avvenire.

Le Sezioni Unite hanno rilevato che le estensioni degli effetti di una pronuncia di condanna della Corte europea a casi non specificamente oggetto di giudizio è regolata dall’art. 61 del regolamento della Corte con riguardo alle c.d. sentenze pilota e, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo, ai casi in cui la sentenza stessa segnali l’esistenza di un problema strutturale o sistemico all’interno dello Stato.

In entrambe queste ipotesi, dunque, l’obbligo di adeguamento trascende sicuramente la posizione del singolo ricorrente e si traduce nell’obbligo di adottare «le misure generali e/o, se del caso, individuali necessarie» in grado di ripristinare le garanzie convenzionali nei confronti di tutti coloro che si trovino nella medesima situazione considerata dalla Corte incompatibile con la Convenzione.

La massima espressione della Corte di Cassazione non ha mancato di evidenziare come la stessa giurisprudenza costituzionale italiana ha apertamente riconosciuto una generale portata vincolante tanto alle sentenze pilota della Corte di Strasburgo, quanto a quelle che tendano ad assumere “un valore generale e di principio”.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che la sentenza Contrada c. Italia non ha la struttura formale di una sentenza pilota, né contiene l’espresso riconoscimento di una violazione di carattere strutturale o sistemico: essa, infatti, enuncia il giudizio di violazione dell’art. 7 Cedu in termini strettamente individuali rispetto al caso concreto, per di più senza indicare i rimedi adottabili.

Conclusivamente, allo stato i benefici di una pronuncia della Corte Edu avranno efficacia erga omnes e potranno fondare una istanza di revisione europea solo quando la decisione della Corte Edu presenti i caratteri della sentenza pilota oppure individui una violazione strutturale e sistematica delle norme convenzionali. In difetto di tali requisiti decisionali, il condannato in via definitiva che non ha interposto ricorso alla Corte Edu non potrà avvalersi dello strumento della “revisione europea” del giudicato italiano.

Avv. Giuseppe GERVASI
(pubblicato il 5/2/2021 su Scienze Forensi Magazine ©Copyright)